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Una
madre in trono con figlio in braccio. Provengono dal piccolo villaggio
di Rast (Romania Occidentale) e appartengono alla cultura Vincha. Entrambi
sono coperti di strani motivi geometrici e astratti che fanno pensare
a segni di scrittura. Un fatto sconcertante, perché questa "Madonna"
ha oltre 7.000 anni. L'Europa neolitica Sud-Occidentale ha sviluppato
una propria scrittura 2.000 anni prima dei sumeri e degli egizi? E' esistito
un antico script proto-europeo andato perduto?
Diversi
metri di libri sulla storia della scrittura hanno cercato di convincerci
che la nostra civiltà sia nata 5.000 anni orsono e si sia affermata
sulle altre perché siamo riusciti a divenire homo scribens. Per
l'invenzione dovremmo ringraziare la sagacia di sumeri ed egiziani, spinti
da esigenze economico-amministrative.
Questo sito intende invece documentare l'esistenza della scrittura nell'Antica
Europa ben 7.000 anni fa, mettendo alla portata del grande pubblico i
reperti degli ultimi scavi e i più recenti studi archeologici e
semiotici.
Era uno script che fissava su pietra o su argilla le immagini e i simbolismi
religiosi delle antiche popolazioni balcanico-danubiane e che veniva impiegato
nei rituali. Non servì a far di conto nelle transazioni commerciali
e a memorizzare documenti amministrativi, ma per "parlare con gli
dei".
Originatasi nei Balcani centrali, in luoghi passati al vaglio delle bombe
Nato durante la guerra contro Milosevic, la scrittura proto-europea ebbe
uno sviluppo indigeno (Marler,
1997). Dilagò rapidamente nella valle del Danubio, in Ungheria
meridionale, Macedonia, Transilvania, Grecia settentrionale. Fiorì
sin verso il 5.500 dal tempo presente (t.p.), quando avvenne un rivolgimento
sociale: invasioni di nuove popolazioni secondo alcune interpretazioni,
sovrapposizione di nuove elite secondo altre. L'Europa neolitica sviluppò
quindi un proprio script andato perduto.
Ma perché le popolazioni proto-europee avrebbero dovuto mettersi
a scrivere? Raffigurazioni animali e umane, ceramica, agricoltura, metallurgia
del rame, palazzi e templi, tecnologie tessili, navi: all'incirca 10.000-9.000
anni orsono, tribù di cacciatori e raccoglitori della sponda occidentale
del mar Egeo iniziarono a seguire nuove tecniche importate dall'Anatolia
meridionale. Dopo un rodaggio a tratti drammatico di uno-due millenni,
l'agricoltura garantì una tangibile prosperità. Comunità
semi-sedentarie e agricole sorsero fin dall'inizio del nono millennio
t.p. La lavorazione del rame apparve intorno al 7.500. Commerci e comunicazioni
incoraggiarono lo sviluppo culturale. Le prime rotte transitarono per
i fiumi e i mari, come si deduce dai motivi ceramici che attestano l'esistenza
di barche a vela fin dall'ottavo millennio da oggi. Culturalmente, tecnicamente
e socialmente, la velocità di sviluppo europea superò quella
dell'Asia minore e della Mesopotamia (Haarmann,
1998).
All'interno di questo scenario dinamico, senza un progresso nel simbolismo
dei segni astratti-arbitrari e una qualche forma di ars scriptoria sarebbe
stato impossibile immagazzinare e comunicare la gran mole di informazioni
necessarie sulle tecnologie, sul potere della mente e dei sentimenti,
la natura e il cosmo.
La scrittura proto-europea non solo è andata perduta ma, quel che
ne resta, è impenetrabile a ogni tentativo di decifrazione. Non
si sa nulla, infatti, della lingua di riferimento. Inoltre, è troppo
antica per sperare nella fortuita scoperta di una "Stele di Rosetta"
che ne permetta la trasposizione in una scrittura conosciuta. (Merlini
in preparazione)
Pur se perduta e non (ancora) decifrata, l'archeologa Marija Gimbutas
e un numero crescente di studiosi come Harald Haarmann, Joan Marler o
Dusko Aleksovski concordano che si tratta di una "vera scrittura".
Non va confusa con simboli religiosi, un linguaggio figurato, sistemi
di supporto alla memoria, formule magiche, mappe stellari e terrestri,
marchi di fabbrica o di proprietà.
Che
cosa spinge un numero crescente di archeologi e linguisti ad affermare
che ci troviamo di fronte a una
scrittura a tutto tondo?
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